giovedì 17 dicembre 2009

una sera di dicembre

Io amo le parole.
Scritte.
Amo la penna che si struscia sul foglio bianco,
tingendolo di senso.
A volte.
Amo il nero e il bianco.

Vorrei riuscire a scrivere una storia.
A inventarmi una persona.
Un luogo.

Occhi sbarrati.

Orecchie stanche.

Naso chiuso.

Gola che non ingoia.

Mani ghiacciate.

Crampi alle gambe.

Lo stomaco.

Arrossisco. Ancora.

Butto giù.
Per tappare.
Cosa?

Mi metto le cuffie nelle orecchie e mi sento felice.
Cammino per strada e m’immagino

[Prisca]

ho quasi sonno.

Pensieri diversi.
Che si amalgamano.
E non ne esce nulla.
Tutte le immagini del giorno mi si accavallano.

Ho fatto il biglietto.

Non mi sono fermata.
Ho cantato per strada.
Ho mandato a fanculo mia madre.

E Fulvia mi chiede di dirle cos’ho.
“Nulla”
“Conmepuoiparlaresonounatombasehaideiproblemitipossoaiutare”

Odio giustificare i miei silenzi.
Le mie assenze.

Io voglio starne fuori.
Voglio morire e rinascere nello stesso istante.

Sono stanca.
E questa stanchezza la conosco.
E’ di quando sto per rivoluzionare tutto.
Di quando non voglio ascoltare.

Ed ora scendo.
Corleto capita sempre nei momenti sbagliati.
O forse è il baricentro.
Ogni volta che torno è sempre una sensazione diversa.
Ad agosto non avevo nessuna voglia di quell’odore.
L’autobus si ferma.
Scendo.
Un bivio.
Colline.
Orti.
Qualche macchina veloce che magari suona pure a quel folletto seduto sulla valigia.
E dopo tipo 20 minuti mia zia.
In quei 20 minuti ho pensato che era stato tutto calcolato.
Mi ritrovavo là da sola perché dovevo riflettere.
Quell’odore mi apparteneva.
E infatti è stato bello.
Me ne sono stata seduta sulla valigia.
Ho fumato una sigaretta.
Il sudore di roma ad agosto assopito alle carezze di quel vento leggero.
E mi ci sono riappacificata.

Ora fa freddo. E molti non ci sono più.
Non ci sono più io come prima.
Quel posto l’ho spremuto.
E ho lasciato la mia impronta.
Ancora l’eco di donnacce dalla bocca larga.
I sussurri.
Le domande.
E mia madre che ora può dire che sono cambiata. Che lavoro.

Sono cresciuta in una cultura troppo stretta.
E velocemente ho capito che me ne dovevo liberare.
Non è cambiato nulla da allora.
Ed ora quasi non mi va più.
Mia madre mi asseconda.
Mi sta addosso.
Mi ripete le solite storie.
Le solite raccomandazioni.
I soliti nomi.
I botti. E noi tre.
“Non ti piace il Natale?”

Ho sonno.

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