mercoledì 20 gennaio 2010

A ruota. Libera.

È difficile per me spiegare alcune cose. Alcune cose che riguardano la mia famiglia e quindi anche me. Cose nelle quali sono cresciuta. E che mi si sono attaccate come la puzza di fritto ai maglioni. Sono cose delle quali penso non parlerò mai. Non per imbarazzo o per le fragorose risate o boccate di stupore che potrebbero generare. No. Solo perché nutro molto rispetto per tutto ciò che è diverso da me e che non riesco a capire. Quella famosa cosa piccola che tutti ci portiamo dentro e che non diremo mai. A nessuno. E capace comunque di influenzarci. Tanto da entrarti nella pelle tutto quell’olio.

Poi capita una notte come questa.


[telefonata di Roberto]




Poi capita una notte come questa. Mi addormento dolcemente su un manto di luppolo. Dormo, sogno, vedo fiori e caprette e poi
TAC.
Occhi sbarrati.
Fuori ancora troppo buio.
MACAZZOSONOLETRE!
Ok. Pensiamo a qualcosa di bello.
Ed io in questi casi penso sempre alla stessa cosa.
Ok. Concentriamoci.
Girati dall’altro lato…
Pensa a qualcos’altro.
Minchia ho pure sete!
MACAZZOSONOLEQUATTRO!
E così via.
Non mi capita spesso. So però quando mi capita cosa c’è nell’aria.
Lo so perché lo sento.
Eppure a me non è mai permesso vedere.

Stamattina alla fine ho aperto gli occhi alle ottomenounquarto nel panico che gradualmente è diventato stupore sorpresa. I miei occhi si erano chiusi, alla fine. E chiudendosi…

Strano. Penso che questo cazzo di 2010 sarà davvero speciale. Nel bene o nel male lascerà un segno. Un segno però dal quale partire. E non l’ennesima botta per premere l’enorme tasto blu PASSO!

Fulvia mi sottopone a strani giochetti psicologici.

AH AH AH

E Roberto mi telefona.

Gabriele risponde alle mie telefonate con un lapidario privo di punteggiature sms che nel suo poco significato mi fa girare il cazzo. Perché sono io che permetto così tanta libertà. Nella mia così tanta voglia di dire c’è sempre un’immensa chiazza bianca. Un lenzuolo bianco. Dove le parole non si attaccano e i suoni non esistono. Lo spazio che mi rosico intorno. Libertà, distanza per me lei è ciò che a voi pare suppergiù diceva il caro Luigi. Non avere il senso del risparmio. Risparmiatelo quello sputo di caratteri a gettoni. Ed io potrei risparmiarmi.

Roberto è sposato e mi telefona. Non mi dice nulla. Solo “Tutt appò?”. Poi magari mi chiede come va il lavoro, se Fulvia mi fa incazzare e “a che ora esci?”
Ed è in questi casi che mi cadono le cosiddette braccia. O il latte ai piedi per i meno splutter. Tiro proprio un grande cazzo di sospiro nel quale vorrei risucchiare tutti.
AFFANCULO!
Possibile che nessuno capisce il gioco!
E qua cado proprio di culo nelle braccia dissanguate e nel latte.
Sono io che non dovrei giocare?
O non lo so.
C’ho tipo una cornacchia al posto di Eros.
Cornacchia assidua frequentatrice dell’Osteria Del Tronco.
In questi casi mi chiedo se sono davvero io che appaio non so bene come.
Non so perché un razzo m’ha portato alla mente la storia della “vagina dentata”. Forse perché un paio di canini nella patata per alcuni uomini sarebbe una santacosa.

Ma come cazzo ci so arrivata a sto discorso?

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